Gruppo di Studio FragilitĂ  cognitiva

Coordinatore:

Marco Canevelli

Descrizione Gruppo di Studio

Coordinatore: Marco Canevelli Sapienza UniversitĂ  di Roma – Dipartimento di Neuroscienze Umane

Background Con il termine “fragilità” si indica una condizione caratterizzata dalla riduzione delle riserve omeostatiche dell’organismo tale da determinare uno stato di maggiore vulnerabilità all’azione di stressor di natura endogena ed esogena, esponendo l’individuo ad un rischio aumentato di eventi sfavorevoli (e.g., mortalità, ospedalizzazione, cadute, declino funzionale). Tale costrutto, inizialmente sviluppato in ambito gerontologico/geriatrico, è ormai sempre più utilizzato anche nell’ambito di altre discipline mediche, dalla cardiologia all’anestesia, dalle malattie infettive all’oncologia, e viene considerato come un elemento centrale per la riorganizzazione dei nostri sistemi sanitari. Infatti, affiancando al criterio (obsoleto) di età cronologica quello maggiormente informativo di invecchiamento biologico, può consentire un approccio più appropriato e comprensivo alle condizioni patologiche età correlate. Nonostante la sua rilevanza scientifica e clinica, il concetto di fragilità è ancora raramente adottato in ambito neurologico e, in particolare, nel campo dei disordini cognitivi. Ciò appare sorprendente se si considera che le abilità cognitive contribuiscono largamente alla vulnerabilità e alla resilienza dell’individuo, e che i disturbi della sfera cognitiva diventano altamente prevalenti nel corso dell’invecchiamento. Eppure, il concetto di fragilità potrebbe avere importanti implicazioni nell’approccio clinico e sperimentale ai disturbi cognitivi. Potrebbe, infatti, consentire di considerare in maniera adeguata e multidimensionale lo stato di salute dell’individuo, senza ovviamentetrascurare quegli aspetti non strettamente “neurologici” che possono causare o contribuire all’insorgenza e alla progressione dei sintomi cognitivi. Analogamente, potrebbe migliorare la comprensione dei meccanismi patofisiologici alla base delle malattie neurodegenerative, attribuendo una maggior rilevanza alle modificazioni biologiche che caratterizzano il processo dell’invecchiamento (spesso trascurate nello studio delle malattie neurodegenerative). Tale approccio potrebbe quindi innalzare considerevolmente gli standard clinici e di ricerca nel campo. A conferma di questa ipotesi, alcune misure di fragilità sono già risultate significativamente associate a outcome “neurologici” rilevanti quali il rischio di demenza in soggetti cognitivamente sani, la velocità di declino cognitivo in pazienti con demenza, il rischio di conversione da mild cognitive impairment a demenza.